mercoledì 20 febbraio 2013

Gilda Binetti

Sono Gilda Binetti, candidata per il PD al Senato della Repubblica. 
Annotazioni da una militanza intempestiva e necessaria.
Ho quasi cinquant'anni, e da 5 aderisco consapevolmente a un partito politico. Sapendo bene che la militanza ha un costo esondante per la mia vita privata e lavorativa, e che i partiti sono in questi anni l'ambito collettivo più screditato.

Non è gratificante. La politica non è gratificante, almeno se la vivi rinunciando consapevolmente a usare la strumentazione che porta al successo, essenzialmente un mix di sfrontatezza e servilismo, e provi a mettere in campo quello che vorresti fosse il modo di essere di chi ci governa, a tenere alto il senso critico pur nella lealtà di un impegno. Rischi di essere confinato nella testimonianza, di essere inessenziale, di essere la foglia di fico che copre la persistenza dei meccanismi di potere. Però non conosco un altro metodo che non sia la partecipazione. Per cambiare non solo i volti ma i metodi della politica bisogna esserci, bisogna occupare gli spazi, incalzare i santuari chiusi del potere. Non è agevole: ci si scontra con una organizzazione impeccabile e con l'uso sapiente della menzogna, ma la posta in gioco è alta, ne va del futuro prossimo del paese in cui viviamo, della possibilità concreta di rimanere nell'alveo della parte di mondo migliore. Non tanto perché abbia un reddito spendibile più alto per un maggior numero di persone, ma perché ha fatto proprie alcune istanze che determinano quella che chiamiamo qualità della vita, forse civiltà: riconciliazione tra l'uomo e l'ambiente, cura del mondo, una dotazione di diritti individuali, la persistenza dell'idea di comunità.
Questo corredo è a rischio, minacciato da trent'anni di predominanza ideologica dell'individualismo più sfrenato e irresponsabile, che porta oggi a un bivio pericoloso: da una parte può continuare il sistematico sfruttamento messo in atto dell'illusionismo berlusconiano, che solletica e legittima tutto ciò di cui è giusto vergognarsi: il piccolo tornaconto personale, la speranza di stare meglio oggi e da soli indipendentemente dalle conseguenze per gli altri e per il futuro. Dall'altra la tentazione di buttare il tavolo per aria, di fare una rivoluzione indipendentemente da chi e come si riproporrà un governo del paese. Troppo fresca è l'esperienza delle primavere magrebine per poter accantonare i rischi di una involuzione democratica, per potersi affidare ancora ad un nuovo messia, seppur con altri accenti. Che tutto cambi, che si distrugga il sistema: è una pericolosa illusione, perché il vuoto di governo, ci insegna tragicamente la storia, apre sempre le porte a chi sa Riempire quel vuoto di potere con la furbizia e la forza. Non serve andare troppo lontano, basta guardare alla stessa Europa contemporanea, alla nascita delle oligarchie economiche nei paesi dell'est del post '89, all'economia canaglia diventata potere politico proprio nell'ebbrezza della distruzione del sistema. Con tutto il corredo di nuove povertà e nuove schiavitù, di cui soprattutto le donne, le donne povere, le donne attanagliate dal bisogno, le donne sfruttate, sono tragica testimonianza.
Viviamo in un'Italia ingiusta, immobile e corrotta, ma che ancora ha in sè la possibilità di invertire la rotta. C'è l'ha soprattutto grazie ai suoi giovani, alle sue donne, figli di una generazione imperfetta ma pure costruttiva. Sembra una follia oggi pensare che il voto alle donne è una previsione normativa del secondo dopoguerra, che alcune professioni erano interdette di fatto e di diritto, che un femminicidio potesse non essere punito in quanto delitto d'onore. L'idea di un diverso trattamento dei cittadini e di un diverso corredo dei diritti di genere ė archiviata del tutto dalle nuove generazioni.
Io appartengo a quella generazione di mezzo, di quelle che il mondo delle madri, protetto, per poche fortunate e chiuso per la maggioranza, era una cosa d'altri tempi, ma sentivamo ancora come fatto ordinario della nostra vita occuparci delle camicie dei mariti. Non è così per mia figlia: in vent'anni è cresciuta una generazione aperta, proiettata sul mondo, e vallo a dire a una di loro che ci sono vincoli a viaggiare, a seguire la strada che si ritiene propria, a considerare l'autonomia come dato meno che assoluto!
Il mondo, grazie alle donne, è cambiato in meglio. Ma nel nostro paese sono ancora troppi gli ostacoli all'effetto a uguaglianza delle opportunità, che è poi la precondizione della libertà.

Crescono le diseguaglianze, e si radicano. Viviamo in Un paese in cui la mobilità sociale è ormai un ricordo degli anni del boom, in cui si rinuncia a migliorarsi perché le aspettative che il lavoro e lo studio generano sono frustrate dalla crisi economica ma ancor più dalla deriva morale che un po' ha anche fare con difetti atavici e molto con il massaggio devastante incarnato dalle classi dirigenti negli ultimi dieci. Un paese che non cresce economicamente perché distrugge il territorio, non usa i tesori che ha, fa poca ricerca, ha un numero di laureati che è la metà degli obiettivi europei. Un paese che non fa figli, perché non ha servizi alla famiglia, non ha gli asili nido, ha scuole fatiscenti, vede azzerarsi i budget per il supporto ai non autosufficienti. Un paese in cui il costo della macchina dello stato e il doppio della media europea e gli stanziamenti per l'istruzione sono di un terzo inferiori.

Ci sta bene così? Ovviamente no. Ecco allora che la politica diventa essenziale, perche se non ci sei ti condiziona molto piu che partecipando, ti schiaccia. la politica se non la fai la subisci. E allora bisogna sporcarsi le mani, provare a smottare il sistema di potere della cosa pubblica che si auto conserva a danno di tutti. Non è un caso che la politica sia ormai l'unico ambito della vita collettiva in cui persiste la sotto rappresentanza delle donne. Perché più donne significano menti nuove alla guida dei processi, significano un altro punto di vista con cui confrontarsi. Significano per la politica la possibilità concreta che si inneschi un processo fisiologico di ricambio nelle posizioni di responsabilità e potere. Questo spaventa, ma è ormai ineludibile. Si pone un'altra sfida: esserci contando e cambiando. È' la parte più difficile, perché il sistema politico procede essenzialmente per cooptazione (5stelle, che invoca la democrazia diretta, ha fatto scegliere i rappresentanti di 40 milioni di abitanti da appena 38mila persone!) e il prezzo della cooptazione è spesso una autonomia limitata.

Tra due giorni si vota. Sarà un voto determinante, e dispiace che tanta parte della cittadinanza intenda rinunciare a partecipare, perché le tre strade davanti a noi possono veramente cambiare il paese. Semplifico, certo, ma abbiamo fondamentalmente tre scelte: lasciare tutto così com'è, distruggere, o provare a cambiare. Io credo nel riformismo radicale come metodo e nell'uguaglianza come valore. Credo nella concreta possibilità di cambiare il nostro sistema di valori come condizione per cambiare il modo con cui si amministra la cosa pubblica. Credo che solo accantonando l'idea di un consumo indiscriminato si possa ricostruire un ambiente da consegnare in eredità ai nostri figli. Solo investendo in istruzione e ricerca si possa cambiare il modello di industrializzazione italiano, accantonando per sempre l'idea che portò all'Ilva e a bagnoli, ma pure ai quartieri dormitorio delle città, frutto di puro accaparramento di suolo e rendita parassitaria.
Non penso ci siano ricette miracolose per il recupero dell'evasione fiscale o per la riduzione degli sprechi. Ci sono però modalità praticabili, anche grazie alla tecnologia, per un governo della spesa pubblica. Ci sono scelte da fare: mettiamo le risorse a disposizione dei servizi pubblici o no? Promettiamo opere faraoniche o investiamo in una capillare riqualificazione del territorio grazie a una politica di manutenzione del patrimonio? Contiamo a permettere il consumo di suolo o riqualifichiamo il tessuto edilizio delle mille cittadine di pregio che ci sono in Italia? Trivelliamo o incentiviamo cogenerazione e rinnovabili? Sono scelte di politica e di civiltà. Senza un governo non verranno fatte. Da un governo che non crede nel valore della comunità non verranno fatte. Da uomini e donne senza scrupoli non verranno fatte. Sta a noi cambiare uomini, azioni, politiche. tendendo alta la soglia critica al potere, ma partecipando, accettando la sfida difficile del governo.

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